Ricostruiamo l'Aquila
La storia insegna che l'uomo ogni giorno deve pensare, progettare, costruire e ricostruire.
Ripartire e ricostruire è stato sempre un imperativo categorico – in Italia ed altrove – ogni qualvolta – nei secoli –
i terremoti hanno portato il loro immane sconvolgimento.
Il terremoto che ha distrutto L'Aquila (penultimo in ordine di tempo, prima del più recente evento sismico Emilia)
l'abbiamo condiviso come scossa (almeno nelle Marche) e l'abbiamo condiviso tutti come dramma, che ha sconvolto
una comunità umana insediata nel pregevole tessuto urbanistico ed architettonico di una delle più belle città d'Italia.
Soccorsi e solidarietà hanno avuto il loro immediato e collaudato corso. Più difficile – a seguire – della ricostruzione
vera e propria. Tante manifestazioni, tante trasmissioni Tv, tante polemiche, in parte persino inutili.
Ma alla fine anche a L'Aquila – nonostante problemi enormi – la vita ha imposto di esaminare come andare avanti, come ripartire.
Dopo la rabbia, l'abbattimento e lo sconforto, ha preso il sopravvento la voglia personale di ognuno di fare
quel che era nelle proprie possibilità. Riprendere un lavoro artigianale o commerciale, seguire i lavori della
propria casa, laddove era possibile restaurare, ristrutturare o riparare. Marcello Tramandoni, come tutti coloro che
amano cogliere la realtà della vita con la fotografia, si è recato nel capoluogo d'Abruzzo più volte.
Poco tempo dopo il sisma, diversi mesi dopo il disastro ed una terza volta di recente. Obiettivo: vedere con
i propri occhi, percepire le emozioni, nel confronto con le persone, le case le cose pericolanti.
Tramandoni l'ha voluta sintetizzare la vicenda aquilana in pochi scatti, volutamente in bianco e nero (i colori dell'essenzialità)
per documentare – attraverso momenti anche minimi – il lento e progressivo risuonare delle voci (benchè ancora sparute)
nelle vie della città d'arte, martoriata fino all'inverosimile. Ed ecco che i vari scorci de L'Aquila con i segni dei danni
subiti (l'auto schiacciata, rotoli di filo spinato per fermare eventuali sconsiderati, i coppi accatastati vicino al muro, un frigo sul vicolo)
cedono lentamente il passo alla presenza di caparbi volontari, che hanno rimosso delle macerie, per arrivare a piccole
manifestazioni, giocosamente giovanili, capaci di riportare il sorriso. Una sorta di prove tecniche di progressiva ripresa
di contatto con il contesto cittadino. Ecco allora giovani in centro ad improvvisare qualche gioco, bimbi che spuntano come
per miracolo da un via, un drappello di suore che con la loro presenza mantiene viva la speranza.
Dalla primigenia documentazione del materiale inerte delle macerie, dalle immagini delle pareti squarciate dei palazzi
Marcello Tramandoni è passato ad annotare quei timidi, impercettibili segnali di ripresa di vita, perchè è da lì che passa, moltiplicati
auspicabilmente fino all'ennesima potenza, l'accelerazione della ricostruzione, in vista di una ripresa maggiore col passare delle stagioni.
Ennio Ercoli